V1 – G4
Sveglia prestissimo. In auto siamo io, Samson, Philipo, sua moglie e Mama Miranda, la cuoca ingaggiata per cucinare nei cinque giorni in cui i turisti trentini saranno negli Udzungwa. E quindi anche per me, mi dice lei orgogliosa e convinta del fatto suo. È ancora notte e noi usciamo lentamente da una Dar es Salam che sembra non finire mai in direzione Morogoro. Dopo un po’ di convenevoli, loro continuano la loro conversazione in swahili mentre io mi guardo il panorama di persone e cose.
Nella giornata di oggi, poco VIC e più curiosità per chi è curioso.
La città cambia lentamente, con la densità urbana che va a diminuire in maniera impercettibile ma costante. Il paesaggio cambia lentamente, con un alternanza di colline rigogliose che lascia lentamente il posto ad una spianata ampissima. La natura cambia lentamente, con enormi alberi di ogni genere, palme snelle e i bananeti interi che vengono sostituiti da canneti e sterpaglie. Tutto è comunque coperto di erba, cespugli e alberi qua e la’, fino all’orizzonte.
Arriviamo a Morogoro: colazione con chapati (due!) e tè. Anche in questo caso, il menù è pieno di cibo indiano. Diversamente da quanto mi aspettavo, la conformazione di Morogoro corrisponde di più all’idea idea europea di città, nel senso che solo a transitarci sono stato capace di identificare gli spazi di aggregazione pubblica formalmente predisposti dalla comunità allo scopo. Philipo e Samson hanno già cominciato ad acquistare merce. Proseguiamo per il mercato alimentare che è qualche chilometro fuori città. Qui prendiamo frutta e verdura, carne e pesce. Si tratta di un mercato rurale decisamente pittoresco. Frutta ammonticchiata in terra in piramidi colorate, sacchi pieni di spezie, gente che sgomita, musica, strutture ombraggianti precarie e belle.
Ci separiamo per andare a prendere più cose. Io accomoagno Philipo a fare colazione perché poverino non ha mangiato ancora. Chiedo in un capannino se hanno ricariche Vodacom, e la ragazza mi dice di provare là indicando un altro lato dello spiazzo, dove l’omino mi dice di provare lì indicando un altro lato ancora. Dopo aver attraversato tre volte il monticello di rifiuti che è al centro della piazza, compro 2.000 TZS di credito da un ragazzo dietro ad una grata. Intanto continuano a portare roba nel cassone del pickup che è già pieno. Stiamo acquistando letteralmente una montagna di cose inclusi sacchi di patate, cocomeri, un sacco da 10 kg di riso, uno di farina e così via. Propongo di tirare fuori il mio zainone da viaggio e di tenerlo sulle gambe a bordo per fare posto ad altri cocomeri, arance e patate. E questi continuano a portare roba finché il cassone è pieno ed il telo non si chiude più. Facciamo altre soste nei pressi di Morogoro, almeno due o tre. Non sempre so che dosa combinano perché se ne vanno e tornano con dei sacchetti di plastica chiusi. Portano sette o otto taniche d’acqua, quella la riconosco.
Anche a Morogoro vendono ferri da CA in abbondanza, e lo fanno ammucchiandoli a fasci in strada come a Dar. Idem le lemiere. Praticamente ne consegue che debbano esserci anche profilati leggeri in vendita nei dintorni, anche a giudicare da quanto vengono utilizzati. Valuteremo se c’è davvero bisogno di andare ad aqcuistarli quattro ore di auto più lontano. Philipo però ha già valutato: qui costano molto di più, mi dice.
Riprendiamo la strada che prosegue rettilinea attraversando le praterie. Inaspettatamente (per me) Samson mette la freccia e accosta in corrispondenza di quattro masai, comprensibilmente conciati da masai, che se ne stanno in piedi a bordo strada in mezzo al niente. Loro quattro, una motocicletta sola, un tavolaccio e un paio di spiedi piantati a terra con delle braci sotto, con ognuno un coscio di animale infilzato sopra. Samson ci parla dal finestrino, poi scendono tutti. I masai prendono un coscio arrosto e lo mettono sul tavolaccio, poi con quattro colpi di machete lo fanno a tocchetti. Mettono del sale in un angolo del tavolo, e ce lo offrono. La carne è molto buona, devo dire. Mi pare capra. Quella che non mangiamo subito ce la mettono in un sacchetto di plastica, così da poterla mangiare come fossero patatine mentre viaggiamo in macchina in macchina. Ora siamo cinque persone con le borse che non stanno più nel cassone addosso (io ho il mio zaino piccolo e un grosso sacchetto di arance sulle ginocchia, gli altri qualcosa di simile) e le mani unte di grasso: la situazione sta sviluppandosi in quello che era il suo potenziale sin dall’inizio. Mancano ancora tre-quattro ore all’arrivo.
La strada che percorriamo attraversa il parco di Mikumi. In prossimità della strada ci sono frequentissimi incendi. Sono innescati volontariamente allo scopo di contenere la crescita dell’erba e scoraggiare gli animali ad avvicinarsi al percorso delle automobili. Gli alberi gli sopravvivono. Lungo la strada, vedo scimmie, impala, giraffe, zebre e bufali, non così scoraggiati. Ci sono i baobab!
Sono a metà tra il preoccupato e l’entusiasta quando Samson accosta di nuovo in un altro mercato, sostanzialmente un agglomerato di persone al lato dell’infinito rettilineo che stiamo percorrendo. Dobbiamo ancora comprare il carbone, che è venduto in enormi sacchi tenuti insieme con dello spago, più o meno grossi come un uomo. Ne compriamo due, li issiamo dietro e cerchiamo di fissarli alla meglio con dei legacci. E già che ci siamo, come non comprare un po’ di quei bei pomodori? Mentre Mama Miranda tratta con le fruttivendole, io im invaghisco dei cesti che queste usano per trasportare la loro merce. Si tratta di un intreccio molto regolare di fibre vegetali (subito, non capisco se sono foglie essiccate o canne schiacciate).
Arriviamo finalmente al monitoring centre e scarichiamo tutto quel ben di dio. Incontro Silvia, che mi mostra gli spazi circostanti e poi mi accompagna alla mia stanza che è in uno dei bungalow per i ricercatori che lavorano sul posto. Ogni bungalow si compone di una cucina-soggiorno centrale e di due camere. Io condivido lo spazio con l’assente Rasmus, che malgrado la sua assenza forse vuol candidarsi ad essere dei peggiori coinquilini di sempre sebbene non l’abbia mai incontrato. Ha riempito la mia cucina di serpenti e lucertole in vaso! E teschi!